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Essere o fare?

Essere o fare? - Ching & Coaching

Anche le risposte alle domande apparentemente più banali offrono moltissime informazioni a chi sa ascoltare.

In particolare c’è una domanda, e soprattutto la relativa risposta, che racconta di noi molto più di quanto pensiamo, e spesso più di quanto desideriamo dire.

Che lavoro fa?

Quante volte avete posto questa domanda?

Esaminiamo la domanda, indipendentemente dal motivo per cui viene posta.

Che lavoro fa? Significa che una persona, che può essere bella, brutta, intelligente, colta, laureata o no, svolge o svolgeva o svolgerà un’attività lavorativa. Tutto qui.

E la risposta? È qui che ci sbizzarriamo, e raccontiamo moltissimo di noi.

Ipotizziamo un laureato in medicina che esercita la sua professione. Sostanzialmente esistono 3 tipi possibili di risposte:

  • il medico
  • faccio il medico
  • sono un medico

La prima risposta generalmente corrisponde ad un atteggiamento di chiusura e può essere generata da antipatia verso chi fa la domanda, dal fatto che la domanda sia posta in un momento inopportuno o semplicemente dal fatto che chi risponde non abbia voglia di parlare di sé o della sua professione.

Le altre due alternative sono, invece, molto più interessanti.

In tutta la mia vita mi è capitato pochissime volte di sentire professioni come quella del medico affiancate al verbo “fare” o “svolgere l’attività di …”. Nella larghissima maggioranza dei casi il medico è un medico.

Altrettanto dicasi per l’insegnante, che di solito è un insegnante, e poi magari fa altri lavori per arrotondare lo stipendio.

Per le altre professioni, di solito, si ottengono risposte come “faccio il calzolaio, il manager, il formatore, l’arrotino,

Ma perché questa analisi semantica e lessicale? Da dove nasce? Che scopo ha?

Esiste una profonda differenza tra “essere” e “fare”.

Chi fa un lavoro può esserne soddisfatto o insoddisfatto, può cambiare mestiere e farne un altro, può andare in pensione mantenendo integro il suo essere, può essere licenziato e inventarsi un’altra professione, magari più soddisfacente. In pratica, chi fa un lavoro mantiene una certa distanza tra ciò che è come persona ed essere umano e ciò che fa come professione, anche se svolge al meglio e con passione il proprio lavoro.

Non così chi è un lavoro. Chi è un lavoro ha collocato la sua professione nell’ambito della propria identità, e quel lavoro è e rimane parte integrante della persona anche se ne svolge un altro, e anche quando va in pensione, a meno che qualcosa non lo induca a rivedere la propria identità (ma vi ricordo che si tratta di un processo sempre impegnativo).

Non è, quindi, un caso che ci siano due professioni che corrispondono praticamente sempre al verbo essere: il medico e l’insegnante.

In passato si diceva che queste due professioni richiedono una vocazione. Forse è, oggi, un modo obsoleto di esprimersi, ma corrisponde alla realtà. Il medico, nel momento in cui pronuncia il Giuramento di Ippocrate, sostanzialmente giura di essere medico in ogni istante della sua vita. Non è strano che inserisca la professione nell’identità! Ma ciò vale anche per l’insegnante che, infatti, è quasi sempre riconoscibile da segnali di vario tipo (la voce, i comportamenti, gli atteggiamenti, le abitudini) anche dopo che è andato in pensione.

Ma veniamo a situazioni più contingenti, e utili.

Se il paziente dichiara di “essere” una professione, e magari poi aggiunge che attualmente è disoccupato, o in pensione, o si corregge e dice “sono il direttore, no, beh, faccio il capufficio” potete immediatamente sospettare, con alta percentuale di probabilità, un forte contributo di stress o una elevata componente psicosomatica alle sua patologie.

Sono laureata in filosofia. Faccio la casalinga.”

Questa frase può essere tradotta in “accidenti, ho studiato con fatica e adesso non riesco a trovare lavoro, e mi vergogno anche un po’ di non lavorare, e la colpa è del sistema e di mio marito che è sempre fuori e qualcuno si deve occupare della casa e mia mamma dice che va bene così purché i soldi siano abbastanza”.

Mi sono allargata troppo con la fantasia, ma credo che il concetto sia chiaro.