Il dolore e la gioia derivanti dall’esperienza vanno metabolizzati, digeriti, collegati ad un quadro più ampio, acquisiti come esperimento e come bagaglio. Anche la gioia, certo!
È arrivato quindi il momento di collegare tutto questo all’azienda. Non alla vita lavorativa del singolo, che ovviamente segue gli stessi canoni, ma all’azienda come struttura, insieme di individui, impresa.
Ci sono aziende che si definiscono ottimiste perché raccontano sempre che “tutto va bene”. Lo raccontano ai manager, ai dipendenti, agli stakeholder.
Ci sono aziende dove i manager sono bravissimi a guardare solo il positivo, soprattutto se si tratta di aspetti gestiti da loro. “è vero, abbiamo perso il 10% di fatturato rispetto allo scorso anno, ma abbiamo aumentato i clienti del 2%!"
Non si tratta di pensiero positivo, ma spesso di sciocche convenzioni aziendali motivate dal fatto che nessuno vuole problemi. Poi, quando i problemi diventano innegabili, si gioca a cercare di dar la colpa a qualcun altro.
Se “ciò che conta non è l’esperienza, ma ciò che ne facciamo” significa che questa frase deve avere un profondo significato anche nel mondo del business. E di questo non ho dubbi, anche considerando che proprio questa frase si trova anche in uno degli ultimi libri di Otto Scharmer, uno dei guru del management di questi anni.
L’azienda che segue il pensiero positivo, secondo ciò che intendo io, non ha paura di sbagliare, e tanto meno di avventurarsi in nuove esperienze. E se i risultati non sono quelli sognati, lo riconosce, lo esamina, impara dagli errori, senza cercare colpevoli. Metabolizza l’esperienza.
Se l’impresa ottiene il successo, non si crogiola, i manager non perdono tempo ad accaparrarsi i meriti, ma valuta l’esperienza identificandone le conseguenze, cercando ciò che potrà essere riproducibile e ciò che può essere perfettibile.
Ma, per tornare al pensiero positivo e chiudere il cerchio, è davvero credibile che questo modo di vedere l’ottimismo sia più costruttivo rispetto a ciò che viene abitualmente scritto sul pensiero positivo?
Cominciamo col dire che non tutti sono capaci di sentirsi al centro del mondo, o padroni del mondo, come invece sottintendono certe teorie (fortunatamente non tutte). Poi, per quanto uno possa credere di essere realmente l’artefice di tutto ciò che gli accade, davanti ad un grande dolore o ad una diagnosi di malattia grave non aiuta ripetersi di essersela procurata: il senso di colpa è sempre un pessimo compagno.
In azienda queste considerazioni valgono ancora di più: è fondamentale andare avanti, imparare, crescere, sperimentare.
Non sempre e non per sempre si vince con la convinzione di essere i migliori del mondo. Spesso si ottiene di più, e più a lungo termine, migliorando e migliorandosi un pochino ogni giorno, ma per farlo bisogna vedere il bicchiere com’è, mezzo pieno e mezzo vuoto, e continuare a riempirlo. Magari goccia a goccia.