Mio padre, educatore piuttosto rigido in famiglia, mi ha insegnato che la modestia è una virtù. Mi ha anche spiegato pazientemente che come modestia si intende qualcosa di simile a sminuire le proprie capacità e, pensando forse di farmi un complimento, mi disse che non avrei avuto particolari problemi ad essere modesta, non avendo particolari capacità di cui vantarmi.
Negli anni ho studiato la Bibbia, la Kabbalah e l’I Ching: tre testi che ci sono arrivati attraverso i secoli, pieni di saggezza e spiritualità.
Tutti e tre parlano di modestia, ma il concetto, praticamente uguale nei tre Libri, presenta alcune importanti diversità con ciò che avevo imparato.
Modestia significa non vantarsi dei risultati ottenuti, non cercare successi esclusivamente a proprio beneficio, non affannarsi in imprese al di sopra delle proprie capacità, ma anche non rifuggire compiti che, invece, siamo in grado di portare a termine, per quanto sembrino gravosi o difficili.
La persona modesta è attiva e soprattutto proattiva: agisce in armonia con l’universo, il proprio compito e il proprio destino.
Davanti ad un incarico che appare terrificante, quasi impossibile, non si ritrae, ma si impegna a comprendere se è necessario per il bene comune e se il compito gli viene segnalato dal proprio ego o dal destino, o da Dio stesso. Nel primo caso si ritrae, ma nel secondo caso non importa quanto dovrà studiare o faticare: il compito verrà portato a termine.