Ciascuno di noi è chiamato ad affrontare prove, difficoltà. Quando, nei corsi di gestione dello stress, affronto il tema della gestione delle esperienze difficili, mi trovo inesorabilmente persone che cercano di fare una graduatoria delle difficoltà e delle sofferenze. Datevi pace: è impossibile. Ogni esperienza dolorosa lo è “a modo suo” e cercare di creare una scala di sofferenze induce, inevitabilmente, a cercare di sottovalutare i dolori altrui o sopravvalutare i propri.
Ogni esperienza difficile, ogni sofferenza, ha un suo spessore, una sua importanza e una sua dignità. Ogni dolore porta con sé un insegnamento, se sappiamo trovarlo.
E poi? E poi, nel dolore, c’è la variabile umana: come affrontarla e come trarne risorse e insegnamenti.
Tralascio, volutamente, coloro che davanti al dolore si accasciano, annichiliti, pieni di lamenti e rancori e rimangono in attesa che qualcuno li sollevi. Certo, anche loro meritano rispetto, ma non è di loro che desidero parlarvi.
Oggi mi rivolgo a tutte le persone proattive, che sanno di poter uscire dalla sofferenza migliori di prima, più saggi e consapevoli. È a voi che dedico queste riflessioni.
Un tempo pensavo che il modo migliore per gestire la sofferenza fosse quello di crearsi una corazza esterna di protezione, un’armatura che potesse in qualche modo impedire al dolore di arrivare troppo nel profondo, una struttura molto solida che aiutasse a prendere le distanze. Cercavo un’armatura, simile a quelle dei cavalieri medievali, ma fatta di puro acciaio, da poter costantemente irrobustire, su cui poter aggiungere strato su strato fino alla completa invulnerabilità. Il mio obiettivo era diventare invulnerabile in quanto irraggiungibile.
Ovviamente la vita stessa mi ha dimostrato che non era possibile o, meglio, che il prezzo da pagare era per me troppo alto. Una corazza esterna abbastanza solida da resistere a tutti gli attacchi rende inevitabilmente un po’ freddi, distaccati, inibisce l’empatia, la comprensione e così come allevia il dolore assottiglia la gioia, la possibilità di condividere, l’amicizia e la vicinanza umana.
Per una corazza esterna davvero solida serve un pizzico di egoismo, una visione unilaterale, un po’ di egocentrismo. E non dimenticate: è indispensabile un bel po’ di paura per evitare di mettersi completamente in gioco.
La conclusione, almeno per me, è stata che una bella corazza esterna non la puoi costruire volutamente. Qualcuno ce l’ha, e può scegliere di irrobustirla, ma non puoi inventarla dal nulla.
Ma … non potevo neanche continuare a lasciarmi frantumare dal dolore cercando poi di rimettere insieme i pezzi, aggiungendo anche ogni volta qualche nuovo frammento raccolto durante il percorso. Prima o poi i pezzi sarebbero diventati troppo piccoli per poter essere ri-assemblati, o magari sarebbero esplosi andando talmente lontano da diventare introvabili.
Serviva una diversa strategia.
Ed ecco come ho scoperto che la corazza esterna, pesante e faticosa da portare, poteva essere sostituita da una leggerissima corazza interna che protegge solo un piccolissimo nucleo, una minuscola parte fatta di puro diamante.